La cessione dei diritti d'immagine nel contesto lavorativo

8/10/19

La cessione dei diritti d'immagine nel contesto lavorativo

Nella società odierna, la pubblicità è un fenomeno presente in tutti gli ambiti della nostra vita: quando leggiamo il giornale, visitiamo i social network e/o qualsiasi sito web. Pertanto, se un'azienda non fa pubblicità, non esiste. Di conseguenza, la maggior parte delle aziende è costretta a realizzare campagne pubblicitarie (più o meno aggressive), come punto chiave per ottenere il successo dei propri prodotti o servizi e potersi così differenziare dal resto della concorrenza.

Per questo motivo, molte aziende utilizzano i propri dipendenti come "attori" per promuovere i propri servizi o prodotti. Essi diventano l'immagine che rappresenta l'azienda per cui lavorano, e chi meglio dei lavoratori stessi può essere il volto visibile per i potenziali clienti, rendendo la pubblicità il più realistica possibile per i servizi offerti. Tuttavia, l'uso delle immagini dei lavoratori deve rispettare le garanzie stabilite dall'articolo 18 della Costituzione spagnola e dalla sua legislazione di attuazione, ovvero la Legge Organica 1/1982 del 5 maggio 1978, sulla protezione civile del diritto all'onore, alla privacy personale e familiare e alla propria immagine, e il Regolamento 2016/679 sulla protezione delle persone fisiche in materia di trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati, nonché il resto della normativa.

Non va dimenticato che siamo di fronte a un diritto fondamentale definito dalla Corte Costituzionale come "un diritto della personalità derivante dalla dignità umana e volto a tutelare la dimensione morale delle persone, che attribuisce al suo titolare il diritto di determinare le informazioni grafiche generate dalle caratteristiche fisiche personali che possono avere una dimensione pubblica". È il titolare che ha il diritto esclusivo di diffondere o pubblicare la propria immagine e, quindi, di impedire la diffusione incondizionata del proprio aspetto fisico, impedendo la riproduzione o la pubblicazione della propria immagine da parte di terzi, qualunque sia il fine, commerciale, informativo, ecc.

In relazione alla sfera lavorativa, il diritto alla propria immagine non è illimitato, in quanto i lavoratori devono adattarlo o modularlo in base alle caratteristiche particolari: l'esistenza di un potere di direzione esercitato dal datore di lavoro, il dovere reciproco di buona fede lavorativa che esiste tra le parti, il particolare rapporto di soggezione del lavoratore, tra gli altri. Ma quanto sopra non implica che la conclusione di un contratto di lavoro privi una delle parti, in questo caso il lavoratore, dei diritti che la Costituzione riconosce al cittadino.

Alla luce di quanto sopra, è necessario prestare attenzione al particolare modo in cui il diritto alla propria immagine si esercita nell'ambito dei rapporti di lavoro, definendone l'ambito di applicazione e delineandone il quadro giuridico protetto. A tal fine, citiamo la sentenza della Corte Costituzionale 99/1994 dell'11 aprile, che considera di essenziale interesse "al fine di coordinare gli interessi del lavoratore e dell'azienda che possono entrare in collisione con esso (...) l'oggetto del contratto e la misura in cui esso richiedeva, o poteva essere inteso come richiedente, in conformità ai requisiti di buona fede, la limitazione del diritto fondamentale per la realizzazione e il soddisfacimento dell'interesse che ha indotto le parti a stipulare il contratto". Tutto ciò perché è evidente che esistono attività che portano con sé, in una connessione necessaria, una limitazione del diritto all'immagine della persona che deve svolgerle, a causa della loro stessa natura, come tutte le attività a contatto o accessibili al pubblico".

Ma è la recente sentenza 1436/2019 della Corte di Cassazione, che stabilisce i limiti concessi all'oggetto del contratto, a determinare se il datore di lavoro, nel caso in questione, abbia o meno esercitato abusivamente i suoi poteri commerciali sull'uso dell'immagine del dipendente. La suddetta sentenza ha messo in discussione la validità della clausola contrattuale che un datore di lavoro ha inserito nei contratti firmati dai dipendenti all'inizio del rapporto di lavoro. L'Alta Corte Nazionale ha ritenuto che la suddetta clausola fosse nulla per violazione del diritto del dipendente alla propria immagine e che il consenso debba essere espressamente richiesto quando l'interessato deve essere impiegato per lavori di videochiamata, adeguandolo alle circostanze del caso specifico, senza includere l'uso di clausole generiche.

La Corte conclude che la clausola non è abusiva, ma piuttosto informativa e ricettiva di un consenso espresso che non era richiesto dalla normativa in vigore al momento della presentazione della causa; così come lo è la normativa attuale. La legge ci dice che il consenso non è necessario oggi, né lo era allora, quando i dati, l'immagine, vengono trasferiti nell'ambito dell'esecuzione di un contratto di lavoro il cui OGGETTO è l'utilizzo dell'immagine come condizione implicita del contratto. Pertanto, si deve tener conto dello scopo del contratto e del naturale esercizio della prestazione che si può dedurre dal fatto che il dipendente deve esibire la propria immagine per conto dell'azienda al fine di fornire un servizio migliore. Per tutte queste ragioni, il consenso è implicito nel contratto, poiché il suo oggetto e la sua esecuzione rientrano nell'ambito funzionale del Contratto collettivo applicabile.

Diverso è il caso in cui l'azienda utilizzi l'immagine di un dipendente per scopi commerciali, ossia per una campagna di marketing in cui viene offerto un prodotto o un servizio e il dipendente presta la sua immagine per questo scopo specifico. In questo caso, il consenso preventivo sarebbe assolutamente necessario affinché il datore di lavoro possa fare un uso legittimo dell'immagine del dipendente. Nel suddetto consenso, il dipendente deve essere informato dello scopo dell'incarico, del periodo in cui l'immagine sarà assegnata e del pagamento previsto per l'immagine. Tutto ciò deve essere sempre specificato in un documento scritto.

Si tratta di attività diverse, in quanto non si tratta di promuovere un prodotto in una campagna di marketing al solo scopo pubblicitario, ma di assistere i clienti fornendo loro informazioni su un prodotto che ne facilita la vendita, tramite videochiamata nell'ambito dell'oggetto del contratto di lavoro e nel rispetto del contratto collettivo applicabile.

Guadalupe Tejela (Avvocato T&L)

Articolo pubblicato nell'edizione di ottobre del mensile CEHAT